Fumare cannabis occasionalmente non causa danni agli adulti: lo dicono i federali USA

cannabis occasionale

Fumare cannabis in maniera occasionale non è dannoso. Ad affermarlo è stata la Dottoressa Nora Volkow, direttrice del National Institute On Drug Abuse (NIDA) statunitense durante un’intervista a FiveThirtyEight, magazine online legato al network ABC News. Ecco tutti i dettagli.

Cannabis: la posizione di Nora Volkow

Con la prospettiva di una legalizzazione federale, negli Stati Uniti il dibattito sulla cannabis è più acceso che mai e vede in gioco due fronti opposti: da una parte chi ritiene che la cannabis sia dannosa per la salute, dall’altra chi, invece, sostiene che i rischi siano minimi se non nulli, oltre che nettamente inferiori rispetto ai benefici, e, soprattutto, spesso significativamente più bassi rispetto a quelli legati al consumo di alcol e droga. 

A parlare dell’argomento anche la Dottoressa Nora Volkow, direttrice del National Institute On Drug Abuse (NIDA), che in una recente intervista al magazine online FiveThirtyEight ha affermato che, attualmente, non esiste alcuna prova scientifica che il consumo di cannabis, occasionale e in dosi moderate, sia effettivamente dannoso. “Non ci sono prove a mia conoscenza che l’uso occasionale di cannabis [per adulti] abbia effetti dannosi. Non conosco alcuna prova scientifica in merito. Non credo che sia mai stato valutato. Sarebbero necessari dei test”, ha affermato la Dottoressa. 

Diversa invece la posizione presa sul consumo frequente: la direttrice dell’istituto federale ha infatti affermato di essere preoccupata per i tassi di consumo in continua crescita, perché l’utilizzo giornaliero, a lungo termine, potrebbe produrre “effetti dannosi anche sul cervello adulto”. A riportare la crescita dell’aumento dei consumi è il National Survey on Drug Use and Health (NSDUH), il più importante sondaggio statunitense sull’uso di droghe, che ha evidenziato come il tasso di consumo mensile tra gli over 26 sia raddoppiato dal 2010 a oggi. 

I benefici legati al consumo di cannabis: l’importanza della relazione con il BMI

Allo stesso tempo, però, la Dottoressa Volkow ha sottolineato anche i benefici dati dal consumo; tra questi, quello più interessante per il territorio americano, è la registrazione di un indice di massa corporea ridotto tra i consumatori di cannabis. Un aspetto, questo, da non sottovalutare, soprattutto negli Stati Uniti appunto, dove, secondo il report State of Obesity 2021: Better Policies for a Healthier America realizzato con i dati raccolti dal Behavioral Risk Factor Surveillance System e analizzati da Trust for America’s Health, nel 2020 ben 16 stati a stelle e strisce avevano tassi di obesità, tra gli adulti, pari o superiori al 35%; nel 2019 gli stati con questi valori erano 12. 

“Il BMI è più basso nei consumatori di cannabis ed è un aspetto sorprendente, perché sappiamo che un BMI alto, in particolare quando si invecchia, può avere effetti negativi sulla salute”, ha continuato la Dottoressa Volkow. “Ecco perché dobbiamo approfondire gli studi in merito”.

Il ruolo della ricerca sulla cannabis

Considerati gli sforzi compiuti da sempre dall’istituto federale NIDA per porre l’attenzione esclusivamente sugli effetti dannosi della cannabis, la posizione della Dottoressa Volkow rappresenta quindi un importante cambio di rotta. Pur non avendo affermato di essere a favore della legalizzazione, infatti, la presa di posizione potrebbe portare a ulteriori ricerche, più approfondite e dedicate non solo agli effetti negativi e ai possibili rischi legati alla cannabis, ma anche agli aspetti positivi derivati dal consumo.

Volkow, inoltre, ha sottolineato come la legalizzazione non abbia aumentato il consumo di cannabis tra i ragazzi come inizialmente previsto e affermato dal NIDA. Anzi, secondo l’American Medical Association, la legalizzazione fa diminuire il consumo tra i giovani.

Ciò che rimane, ora, è quindi lo stigma, alimentato in alcuni casi dagli stessi governi e che le ricerche potrebbero contribuire a eliminare. “Le politiche del governo, comprese le misure di giustizia penale, spesso riflettono e contribuiscono allo stigma”, ha scritto la Dottoressa Volkow sulla pagina web dell’Association of American Medical Colleges. “Quando penalizziamo le persone che fanno uso di droghe a causa di una dipendenza, affermiamo in maniera sottintesa che il loro uso è un difetto caratteriale piuttosto che una condizione medica. E quando mettiamo in carcere individui dipendenti, riduciamo il loro accesso alle cure ed esasperiamo le conseguenze personali e sociali del loro uso di sostanze”.